di
Gianni Tirelli
Un’economia
etica, sana, priva di interferenze di natura speculativa e
opportunistica, guarda ai bisogni reali dell’individuo, tenendo
conto delle sue necessità strutturali e scale di valori, a tal
punto, che a determinare il Mercato è la domanda, e non l’offerta.
Questo è un mercato etico per definizione, che si allinea e prende
nota delle indicazioni e richieste suggerite dal consumatore, per non
correre il rischio di sobbarcarsi i costi del non venduto; un
consumatore che, dall’origine, possiede quei parametri necessari
per capire ciò che vuole e ciò che gli serve davvero - un
consumatore “con le mani in pasta” che utilizza tutto ciò che
acquista giustificando così le sue spese e limitando al minimo le
eccedenze inutilizzate, fino ad azzerarle.
Un’economia questa, dove
è la domanda a dettare legge, le regole, e il quantitativo congruo
di merce e beni da produrre e commerciare – e che in virtù di un
tale meccanismo organizzativo, riduce al minimo la quantità di
spazzatura, di scorie e rifiuti.
In un’economia del genere,
solo una piccola parte è destinata alla produzione di beni
“voluttuari”, ma anche questa si attiene a criteri logici
indicati saltuariamente dalla domanda, e dall’eccezionalità del
momento. Beni, che per l’oculatezza della scelta, non saranno in
seguito rimpiazzati da altri ma, nel tempo, destinati a divenire
duraturi.
Nelle
nostre società, che per decenza abbiamo definito “moderne”,
accade l’esatto contrario. L’impianto etico è stato scalzato di
netto dal suo ruolo di giudice supremo dei nostri atti e scelte,
ritenendolo, il Sistema, un vero e proprio impedimento e ostacolo al
suo piano di produzione e commercializzazione di beni e prodotti
effimeri, che in una condizione di “normalità ragionevole” non
avrebbero mai visto la luce.
In questo modo, il consumatore,
defraudato da ogni punto di riferimento e capacità critica, demanda
al Sistema ogni sua responsabilità e scelta, ritenendolo il solo
interlocutore credibile e attendibile fra il Mercato e la sua
coscienza – una concezione dunque relativistica della realtà
sociale, dove il singolo delega a terzi (al Sistema) le sue
responsabilità oggettive perché incapace di assumersi le
conseguenze dei suoi comportamenti e scelte.
Questo
moderno consumatore, in totale antitesi con il soggetto etico, non
conosce i suoi bisogni reali e le sue necessità strutturali.. “non
ha le mani in pasta”, e diversamente dal “domandare”,
aspetta che gli si offra. Ed è questa la sostanziale e fondamentale
ragione che differenzia in maniera inequivocabile il
capital/liberismo di quest’epoca dissennata, dalle illuminate
società contadine del passato.
Dove il Mercato e l’economia
si reggevano esclusivamente (e in forma egemonica) sulla domanda e
sulle richieste della massa – contrariamente da oggi, dove le
sollecitazioni al consumo sono indotte e imposte dal Mercato Bestia
gestito dai pochi.
Questa
è la più perversa, diabolica e subdola forma di schiavitù mai
sperimentata nella storia del mondo.
Viviamo
nell’illusione indotta di ritenerci liberi quando, di fatto, siamo
relegati all’interno di un oceanico campo di concentramento che,
alle recinzioni ad alta tensione, ha sostituito il plagio mentale, la
dipendenza da bisogni effimeri, l’uniformazione delle coscienze, e
una globale deresponsabilizzazione. Siamo le inconsapevoli cavie di
laboratorio, di un progetto di sperimentazione di stampo nazista di
dimensioni planetarie, che terminerà con “LA SOLUZIONE FINALE
“Quella
che oggi chiamate libertà, è la più forte di queste catene, benché
i suoi anelli vi abbaglino, scintillando al sole” – Gibran
fonte: OltrelaColtre
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