DI
PAOLO FRANCESCHETTI
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1.
Alcuni cenni agli ultimi colpi di genio del governo Monti. 2. Come
non reagire. 3. Come reagire.
1.
Alcuni cenni agli ultimi colpi di genio del governo Monti
Pochi
giorni fa sono scesi in piazza i poliziotti in varie parti d’Italia;
nello stesso giorno protestavano a Montecitorio gli avvocati e pochi
giorni prima avevano manifestato gli insegnanti. Sono categorie,
queste, poco inclini alle manifestazioni di piazza, ma se lo hanno
fatto è per un solo e semplice motivo: la misura è colma e il paese
sta per scoppiare, nel senso che stanno per scoppiare disordini di
massa, scontri, caos e malessere sociale.
Parto
dall’analisi di due vicende che hanno coinvolto le due categorie
degli avvocati e degli insegnanti.
Per
quanto riguarda gli avvocati, le novità di questi ultimi tempi sono
le riduzione dei tempi della pratica legale, l’abolizione delle
tariffe minime, e la tragicommedia della mediazione civile risolta –
come era facile prevedere – in un bluff.
Mi
soffermo in particolare su questa vicenda della mediazione,
spiegandola ai non addetti ai lavori (quindi i giuristi mi
perdoneranno se non uso il giuridichese e semplifico alcuni
concetti).
Nel
2010 è entrata in vigore la mediazione obbligatoria per i
procedimenti civili; in sostanza il legislatore ha detto: “Da
adesso in poi, prima di fare una causa civile, si va prima da un
mediatore che cerca di pacificare le parti, così si evita il
processo e si fa tutto in tempi rapidi”.
Messa
così, al cittadino ignorante poteva sembrare una buona cosa.
I
problemi erano però i seguenti:
-
i costi erano elevati;
-
venivano affidate cause molto complesse, che richiedevano una
preparazione lunga e specialistica, a soggetti del tutto privi di
competenze giuridiche (geometri, ragionieri, architetti, ecc.) che
diventavano mediatori (e quindi sostanzialmente assolvevano a
funzioni identiche a quelle di un magistrato) con pochi giorni di un
corso, al termine del quale si veniva abilitati a diventare
mediatori;
-
il mediatore lo sceglieva la parte; in altre parole se io decidevo di
fare causa a Tizio, andavo dal mediatore che sceglievo io, ovviamente
scegliendo un mediatore amico/parente/corrotto.
Fin
dai primi tempi, infatti, il risultato di questo schifo di legge –
che si traduceva, in sintesi, in una sorta di privatizzazione della
giustizia, che veniva esercitata da persone spesso incompetenti
e corrotte – era che la maggior parte delle mediazioni sono andate
deserte.
All’indomani
dall’uscita della legge, si sono precipitate migliaia di persone a
fare corsi di mediazione, creare società di mediazione, ecc., nella
maggior parte dei casi giovani avvocati senza lavoro che vedevano
nella mediazione una prospettiva di lavoro in più; nessuno si è
fatto venire il dubbio che tutta questa “facilità” nell’accesso
a una nuova professione nascondesse qualcosa di diverso e che i conti
non tornavano.
Era
inevitabile l’impugnazione della legge davanti alla Corte
Costituzionale, così come è stata inevitabile la bocciatura da
parte della Corte. La Corte Costituzionale, con un colpo di penna, ha
cancellato in un istante speranze di lavoro, reso inutili gli sforzi
di chi aveva creato le società, buttato a mare i milioni di euro
spesi per realizzare questo istituto. Ora, aggiungo, è facile
prevedere che la mediazione verrà riproposta in forme diverse, con
la scusa che è un istituto che ha ricevuto l’avallo anche dell’UE;
ed è facile prevedere che la Corte Costituzionale boccerà
nuovamente anche la mediazione riformata che gli organismi appositi,
d’intesa col governo, predisporranno. Il motivo è presto
detto.
La
mediazione è stata creata fin dall’inizio per sfasciare in modo
definitivo la giustizia civile (che comunque era già vicina al
collasso) e per creare malesseri e disordini nella categoria degli
avvocati. La bocciatura della Corte Costituzionale, infatti, lungi
dall’essere un’operazione di giustizia, era semplicemente parte
del progetto complessivo, che ancora non è terminato.
Situazione
analoga per gli insegnanti.
Il
governo dapprima ha varato un concorso demenziale per reclutare nuovi
insegnanti, dicendo che in questo modo creava nuovi posti di lavoro;
ma contemporaneamente ha elevato il numero di ore di lavoro agli
insegnanti di ruolo, togliendo così diversi posti di lavoro ai
precari.
Mi
spiego meglio.
Per
decenni, da che ho memoria io, l’orario di lavoro degli insegnanti
è stato sempre di 18 ore settimanali. Un numero di ore che può
sembrare basso, ma a cui poi andavano aggiunte le ore per i consigli
di classe, per il ricevimento, per la correzione dei compiti, per
l’aggiornamento, ecc.
Improvvisamente,
dopo decenni, il governo decide di elevare il numero di ore degli
insegnanti a 24 ore settimanali. Il 33% di ore in più, che si
traduce nella perdita secca del 33% dei posti di lavoro per gli
insegnanti precari.
In
sostanza il governo da una parte ha detto "ragazzi ecco che creo
posti di lavoro" varando un concorso demenziale destinato ad
essere bocciato dalla Corte Costituzionale; dall'altro ha tolto
lavoro ai precari dimostrando in tal modo che non gliene frega nulla
della creazione di nuovi posti di lavoro.
Scopo
di tutta la manovra?
Far
incazzare i precari, far incazzare gli insegnanti di ruolo, insomma
far incazzare tutti e mettere ogni categoria l'una contro l'altra,
oltre a far perdere loro una marea di tempo e soldi in ricorsi al
TAR, proteste, manifestazioni ecc.
Si
osserverà che aumentando le ore ai docenti di ruolo in questo modo
si fanno “tagli” e si risparmiano soldi; è semplice invece
rispondere che per risparmiare era sufficiente evitare il maxi
concorso demenziale che farà spendere soldi inutili senza creare
alcun posto di lavoro in più, e magari si poteva tagliare qualche
finanziamento ai pescatori di granchi in Kiribati, o anche – perché
no? – operare un drastico ridimensionamento dei fondi dati agli
apicoltori della Slovenia e ai ristoranti vegetariani in
Groenlandia.
A
questi provvedimenti dobbiamo aggiungere la chiusura dei piccoli
tribunali di provincia (gli unici che funzionavano davvero, perlomeno
per quanto riguarda i tempi e i costi); l’IMU che sottrae liquidità
agli imprenditori già in crisi accellerando il fallimento in atto
della maggior parte delle imprese italiane; il taglio dei fondi agli
ospedali e la chiusura di molti centri di pronto soccorso; gli sgravi
fiscali per chi assume lavoratori extracomunitari (con il risultato
che alcune imprese licenziano i lavoratori italiani per assumere
extracomunitari); i tagli alla polizia; la liberalizzazione delle
licenze di commercio, colpo mortale a chi aveva speso centinaia di
migliaia di euro per acquistare una licenza di pizzeria o di altre
attività commerciali; ecc.
Ormai
anche le persone più ignoranti e poco inclini al “complottismo”
si sono accorte che gli ultimi provvedimenti del governo Monti vanno
in una sola direzione: lo sfascio del paese.
La
domanda è: perché? E ad essa abbiamo risposto più volte (creazione
di malcontento, al fine di instaurare una dittatura e accentrare i
poteri dell’UE).
Lo
ha detto chiaramente Monti in un’intervista: “La crisi è una
cosa positiva, l’Europa ha bisogno di crisi”. E Napolitano di
recente ha detto che per reagire alla crisi è necessario “cedere
ulteriori quote di sovranità all’UE”, ovvero rafforzare l’UE
(una stronzata colossale, simile a quella dei medici del ’400 che
curavano prevalentemente col salasso e, a fronte di malattie gravi
cui non sapevano come reagire, per prudenza praticavano un
“salasso”).
Quello
che adesso voglio cercare di spiegare è cosa non bisogna fare, e
cosa invece si potrebbe fare per reagire.
2.
Come non reagire.
La
prima cosa da non fare è quella di scendere in piazza e
manifestare.
Alle
prime manifestazioni, fino ad oggi pacifiche, seguiranno infatti
scontri di piazza, ove ovviamente lo scontro partirà da agenti dei
corpi speciali infiltrati, travestiti da Black Block o da
manifestanti normali, per scatenare il caos, come è avvenuto a
Genova durante il G8 o l’anno scorso a Roma.
Il
governo vuole che manifestiamo....e, proprio per questo, noi non
dobbiamo manifestare.
L’altra
cosa da non fare è spendere tempo e soldi in ricorsi inutili all’UE,
alla Corte di Giustizia e ad altri organismi, per rivendicare il
proprio diritto di sovranità, la proprietà del denaro, ecc. In
realtà si tratta di rivendicazioni sacrosante, ma che verrebbero
fatte a organi che sono strumenti docili e corrotti di quello stesso
potere che si vuole combattere. Questi ricorsi (tra i quali rientra
anche quello effettuato per abrogare – legittimamente – la
mediazione, o quello che verrà fatto per annullare – sempre
legittimamente – il concorso nella scuola) sono ampiamente
programmati e previsti.
In
linea di massima, tutto il sistema legale e dei tribunali è
un’immensa macchina per far perdere tempo, soldi e dignità ai
cittadini, facendoli sperare in una giustizia che cali comunque
sempre dall’alto, ovvero una giustizia che provenga da quelle
stesse fonti che hanno creato il disagio e il malessere contro cui si
pretende di combattere. Rivolgersi a un tribunale per avere
giustizia, cioè, è come rivolgersi a Totò Riina per avere
giustizia perché la mafia ti ha ammazzato un parente.
3.
Come reagire
Gli
esempi di cose da fare sono molti, e mi sono venuti in mente in
questi anni viaggiando per l’Italia o all’estero e vedendo questi
fenomeni. Negli USA ho visto locali che servivano pasti gratis
all’ora di chiusura, con il cibo avanzato e non venduto. In Spagna
i medici hanno deciso che, nonostante i tagli, cureranno lo stesso i
malati, gratis. Un imprenditore agricolo italiano, invece di
licenziare i dipendenti, li ha organizzati in una specie di comunità,
in cui ciascuno mette a disposizione ciò che ha e le proprie
competenze (chi fa il meccanico ripara gratis tutto ciò che si rompe
alle famiglie dei dipendenti, chi fa il sarto cuce i vestiti se
servono, i prodotti agricoli vengono portati a casa dai dipendenti e
una parte dell’azienda è stata adibita a orto e ad altri prodotti
di consumo giornaliero, ecc.). In un altro caso mi è capitato
un’imprenditore che ha dovuto licenziare i dipendenti, ma ha
provveduto, tramite amicizie e conoscenze, affinché le famiglie
continuino ad avere vitto e alloggio, mettendo a disposizione un
casale per coloro che non potevano permettersi l’affitto e
assicurandosi che tutte le famiglie dei disoccupati, tramite gli
abitanti del paese, abbiano da mangiare tutti i giorni.
Vediamo
quindi quali potrebbero essere le mosse da effettuare per affrontare
la crisi:
-
Creazione di monete locali da parte degli amministratori dei piccoli
comuni (in teoria sarebbe possibile farlo anche nei grandi comuni),
sull’esempio del SIMEC di Giacinto Auriti. Mi si obbietterà che il
SIMEC è un progetto che fallì perché la guardia di finanza né
impedi il proseguimento arrivando addirittura a perseguire legalmente
il professor Auriti; replico che in realtà la moneta di Auriti non
era illegittima, che oggi i tempi sono maturi per un’operazione del
genere su larga scala ad iniziativa di sindaci e amministratori
locali, e che peraltro si potrebbero operare piccoli correttivi
legali per evitare l’intervento della guardia di finanza e delle
autorità monetarie. Ad esempio, invece di moneta, si potrebbe
chiamare buono.
-
Organizzarsi a livello locale tra cittadini. Specie nei piccoli
paesi, è assolutamente possibile creare piccole forme di vita
comunitaria, in cui ciascuno metta a disposizione le sue competenze e
le sue capacità gratuitamente, per ricevere in cambio altri beni e
servizi a titolo gratuito.
-
Organizzazione di piccole comunità autosufficienti, di natura
prevalentemente agricola, in cui si torni a vivere e a lavorare come
nelle campagne di 50 anni fa. A titolo di esempio:
- imprenditori
che abbiano a disposizione capannoni sfitti, potrebbero cederli in
uso gratuito a gruppi di persone senza casa e senza lavoro;
- i
ristoratori potrebbero dare il cibo gratis a fine giornata (so bene
che qualcuno obietterà che le norme igieniche della USL non lo
permettono; ma le norme sull’igiene alimentare servono in gran
parte ad evitare proprio che il cibo in abbondanza venga dato
gratuitamente a chi non lo ha e venga buttato nella spazzatura,
quando in realtà ci sono diverse forme di cessione gratuita
assolutamente legali, che possono essere concordate e organizzate);
la stessa cosa possono fare i negozi di alimentari con i cibi
prossimi alla scadenza ma ancora buoni;
-
i medici potrebbero curare gratis, gli avvocati dare consulenze
gratuite, fabbri falegnami idraulici ecc. potrebbero prestare una
parte della loro opera a titolo gratuito;
-
il governo Monti ha adito la Corte Costituzionale per far dichiarare
incostituzionale una legge della Regione Calabria sui prodotti
agricoli a Km 0, ovvero della regione, perché viola le regole
imposte dall’UE sulla libera concorrenza? Bene, nulla però
impedisce che, pur senza una legge, supermercati e commercianti
possano acquistare solo prodotti regionali o che i cittadini
acquistino solo prodotti a Km 0 per aiutare l’economia della loro
terra. Molto più efficace, economico e rapido che impelagarsi in
ricorsi e inutili manifestazioni;
-
i Comuni possono impiegare per i lavori sul territorio lavoratori
disoccupati (muratori, falegnami, elettricisti, informatici, ecc...)
a cui, come compenso per il lavoro prestato possono non far pagare le
tasse locali (IMU, rifiuti, ecc...);
- Rendersi
conto che il sistema in cui viviamo ci ha abituato a far dipendere la
nostra felicità dal numero e dalla qualità di beni che possediamo;
capire la trappola in cui il sistema ci ha fatto cadere e abituarsi a
un nuovo regime di vita, che potrebbe anche essere migliore del
precedente.
Nessuna
manifestazione dunque che, come sappiamo, attraverso agenti
provocatori può facilmente essere trasformata in violenza, ma una
forma di resistenza civile, pacifica e quotidiana. Senza la fattiva
collaborazione dei cittadini nessuna manovra operata dal governo può
trovare attuazione. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che è
assolutamente inutile protestare e scendere in piazza. A Roma ogni
giorno c’è una manifestazione senza che la popolazione ne abbia
nemmeno notizia, salvo quando questa si trasforma in guerriglia, così
da poter essere strumentalizzata (il motivo della
manifestazione passa in secondo piano, e quello che viene messo in
evidenza serve a ingenerare insicurezza e paura nella popolazione,
così che possa essere più docile). Inutile continuare su una strada
che, è chiaro, non ha portato alcun risultato. Nessuna rivoluzione
di massa, ma solo tante piccole rivoluzioni personali, e tante
piccole rivoluzioni nelle piccole comunità in cui ciascuno
vive.
Una
frase che in questi anni mi è rimasta in mente è questa: per chi
vive in montagna o in campagna, dei prodotti quotidiani della propria
terra, che al governo centrale ci sia una dittatura o una democrazia
non cambia assolutamente nulla. La dittatura non può cambiare
l'anima delle persone, i propri pensieri e le proprie emozioni; la
dittatura può preoccupare unicamente coloro che misurano la loro
felicità dalla quantità di beni che hanno.
In
conclusione:
Il
governo vuole che noi manifestiamo. E noi non dobbiamo
manifestare.
Il
governo vuole che noi ci riduciamo alla disperazione. E noi ci
rimbocchiamo le maniche e scopriamo il gusto della solidarietà,
Il
governo vuole affamarci. E noi mangeremo lo stesso, in modo diverso,
con abitudini diverse, ma mangeremo.
Davvero un bell'articolo, condivido tutto quello che hai scritto. Purtroppo la gente è stata abituata a ragionare nell'unica maniera che conosce, quella che hanno loro inculcata. Crede che manifestare, votare e via dicendo siano i più forti strumenti democratici che ha a disposizione, ma non ha capito che è solamente un enorme circo messo su dai potenti. Manifestare non serve assolutamente e, come dici tu, crea notizia solo quando accadono dei fattacci (ovviamente archietettati da chi di dovere) e i buoni principi che hanno dato vita alla manifestazione finiscono nel dimenticatoio. Le persone devono capire che il cambiamento passa attraverso ognuno di noi, le nostre abitudini sbagliate, la nostra indifferenza verso il prossimo
RispondiEliminaTutto veramente esatto! Il come reagire poi sono deduzioni logiche che ogni persona onesta e intelligente con la consapevolezza dei bisogni di una famiglia dovrebbe avere......
RispondiEliminaQuindi siamo fregati... mi spiace...
non manifestare ... per timore dei black block?
RispondiEliminaCreare piccole e platoniane comunità autosufficienti??????
Suvvia! non scherziamo.
Ohhh si finalmente,dopo aver letto l'articolo di Franceschetti finalmente non mi sento più un anormale, finalmente qualcuno che la pensa come me.
RispondiEliminaSe c'è qualcosa che mi fa montare la rabbia è quando mi sento dire dalla gente " ma qualcuno che ci guidi ci vuole" qualcuno chi uno Stato e un sistema di democrazia?
Quando le persone capiranno che devo rendersi autonome e autosufficienti dallo Stato?
Solo cosi non avrà più senso di esistere, anche se mi rendo conto che oggi come oggi per come si è strutturata la società, per tutto il "sapere" che abbiamo perso, per una condizione anche di struttura del territorio è tutto difficile, ma da qualcosa si deve iniziare e Franceschetti ha dato testimonianza solo di alcuni esempi di ciò che accade di buono ma nessuno ne parla.
Mesi fa ho visto andare in discarica, pc,scrivanie,sedie,e molto altro ancora causa ristrutturazione degli uffici di una multinazionale, e io mi dicevo ma non si potevano regalare?A qualcuno sarebbe tornato comodo,ma no figuriamoci meglio in discarica.
Io lavoro in una mensa aziendale ed è davvero nauseante vedere il cibo che viene buttato, darlo ai poveri suvvia mica hanno scritto sulla porta onlus loro,ma che scherziano?