E’
sempre un buon momento per far valere le ragioni collettive contro
quelle di pochi speculatori. Dopo diciassette anni di emergenza e
regimi commissariali, la problematica del ciclo dei rifiuti è così
intimamente legata a questioni ambientali, economiche e sanitarie,
che non c’è più bisogno di un momento significativo per
rivendicare il diritto di poter vivere in un territorio salubre e
gestito con criteri di trasparenza e partecipazione.
La gestione
in emergenza dei rifiuti ha avuto, come conseguenze, un indebitamento
progressivo degli enti pubblici, l’inquinamento sistematico del
territorio, spesso divenuto insalubre e inadatto alle attività umane
e animali. Il consolidarsi ed il reiterarsi all’infinito di una
situazione problematica alla quale non si trovano, e non si vogliono
trovare, altre soluzioni che non siano l’apertura di nuove
discariche, l’ampliamento di quelle esistenti (o non meglio
identificati centri di stoccaggio), il conferimento all’estero e
l’incenerimento, determinando costi sempre crescenti. Costi che
diventano addirittura insostenibili in periodo di crisi di sistema
come quella che stiamo vivendo, nella quale lo stesso processo
di
indebitamento delle pubbliche amministrazioni produce un
costante inasprimento delle politiche di austerity.
La gestione,
palesemente clientelare del territorio, viene pagata cara anche in
termini di agibilità democratica della popolazione che, sempre in
ragione dell’emergenza, si vede volutamente privata della propria
capacità di esercitare e far valere il diritto alla salute e
all’abitare il proprio territorio.
Un progressivo consumo di
suolo riduce non solo gli spazi agricoli ma anche le prospettive
economiche future, disincentivando gli investimenti di energie nella
terra, con pesanti ripercussioni sui lavoratori del settore agricolo,
ittico e turistico, provocando abbandono e spopolamento.
Il debito
ambientale che stiamo contraendo, vista la superficialità con la
quale vengono rilasciate autorizzazioni e permessi, diventa
insopportabile per noi ma soprattutto da chi verrà dopo di noi; in
ogni provincia ci sono porzioni di territorio compromesse dagli esiti
di conferimenti illegali in discariche – spesso non a norma e
ripetutamente sottoposte a sequestro giudiziario – il tutto
aggravato da provvedimenti normativi straordinari che consentono di
smaltire il rifiuto non trattato, sempre in nome di un’emergenza,
ultradecennale e ciclica, che giustifica l’eccezionalità e
l’urgenza di tali provvedimenti.
E’ chiaro che le cose così
non possono e non devono continuare; bisogna andare nella direzione
di un progressivo abbandono del sistema discarica-inceneritore,
dell’attuazione della raccolta differenziata spinta porta a porta
in ogni comune,un sistema di gestione ispirato quindi alla strategia
“Rifiuti Zero”.
Rimettere la gestione in mano ad aziende
speciali che attendono al diritto pubblico, sfiduciando una volta per
tutte la favola de “il privato conviene”, perché è nello
sfacelo che viviamo la migliore prova del fallimento di questo
sistema. Nel conto finale devono essere annoverati anche gli
interramenti, le discariche abusive e gli affondamenti “anomali”,
tra ferriti di zinco, fanghi tossici, scorie radioattive e sostanze
cancerogene d’ogni sorta di provenienza ignota, o troppo nota, la
terra calabra in particolare e il meridione in generale, si presenta
come un territorio bisognoso di urgenti e improcrastinabili
bonifiche.
Davanti ad un tale scenario, chiediamo che si
restituisca dignità al territorio e a chi lo vive; il rispetto della
volontà popolare che ha sancito con il referendum del 2011, la
gestione pubblica dei beni comuni e dei servizi a rilevanza
collettiva; l’introduzione di forme di trasparenza e partecipazione
diretta della popolazione nelle scelte più delicate, la
desecretazione di tutti gli atti della “Commissione parlamentare
sul ciclo di rifiuti” che riguardano la nostra regione e la
formazione di un registro tumori regionale con localizzazione dei
rilevamenti su scala comunale.
Non lanciamo appelli alla politica,
onde evitare di cadere nel ridicolo. Diciamo invece apertamente che
chiunque aspiri ad amministrare i nostri territori, dai sindaci fino
al ‘governatore’, deve mettere al primo posto la messa in
sicurezza dei siti contaminati, la gestione pubblica dei servizi, la
trasparenza e la partecipazione popolare.
Le persone non sono
cieche e lo hanno dimostrato in questi ultimi tempi, nei quali
l’esasperazione ha fatto si che si formassero comitati spontanei
che sono poi riusciti a inceppare il meccanismo di aggressione e
speculazione presente fuori dalla porta di casa.
Proprio da queste
esperienze nasce l’esigenza di una mobilitazione per ristabilire i
principi base di un agire democratico.
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