Da quel giorno il mondo non gli apparve più come l’aveva visto fino ad allora. Qualcosa nella sua percezione della realtà cambiò per sempre. Fu come se qualcuno avesse spento le luci e si fosse acceso davanti ai suoi occhi un visore ad infrarossi e come per magia cose che fino a pochi attimi prima gli erano rimaste celate, improvvisamente apparvero così evidenti alla sua vista che si meravigliò con se stesso come avesse fatto anche solo a non inciamparci. Era incredibile che la mole delle bugie e delle falsità che aveva inghiottito fino a quel punto della sua vita gli si erano rivelate così digeribili da non fargli mai venire il dubbio che ci fosse qualcosa di storto.
Fu in quel momento che si rese conto di una verità. Una di quelle verità che potrebbero definirsi teorema, cioè uno di quei castelli di fantasia capaci pur nella loro inconsistenza reale a dare fondamento ad intere spiegazioni di quella realtà altrimenti incomprensibile. Il suo teorema gli fu di un’evidenza spaventosa, ma nello stesso tempo così labile da percepire, da sembrare niente di meno della fantasia di un paranoico.
Il suo mondo si reggeva sull’abitudine. Ogni cosa, ogni modo di pensare, di fare di agire, di credere, di sentire, di immaginare, di vedere, di considerare, di interpretare, si reggevano su un’abitudine consolidata.
L’abitudine è simile ad una droga, ci si assuefa ai suoi ritmi e ai suoi rituali e a lungo andare sembra impossibile farne a meno.
Simile a qualsiasi altra droga, l’abitudine, è un modo per rifuggire la realtà, o per rendersela più semplice, meno complicata, più accettabile, più a propria misura. Così si fa abitudine ad andare al lavoro, a fumarsi una sigaretta dopo pranzo, si fa abitudine ad ascoltare della musica, a comprare determinati prodotti, a comportarsi in determinate maniere, si fa abitudine a credere alla televisione e a pensarla in determinati modi, in una frase: a vedere la vita in un’ottica.
Si fa abitudine cioè a pensare in piccolo, al proprio vantaggio personale e di pochissimi affezionati, di chiudersi nel proprio mondo di relazioni interpersonali e anonime perché abituati ad avere perlopiù contatti formali con le persone, si fa abitudine a non farsi domande e a non cercare risposte.
E ciò almeno fino a quando qualcosa non desti da questo sogno, fino a quando qualcosa non vada a scalfire anche una sola di quelle abitudini, ad incrinare quella fiducia messianica riposta da ognuno nel proprio codice di credenze. Solo allora la rete delle abitudini a cui si è assuefatti cadrà o verrà messa in discussione, e simile al “momento di lucidità” degli alcoolisti, darà una scossa a tutta un’esistenza. Solo allora ci si renderà conto di quanto è duro lottare e destare le abitudini degli altri, solo allora ci si accorgerà della sordità delle persone che ci vivono accanto, della loro incapacità a percepire le urla d’aiuto che giungono da ogni dove. Ci si renderà conto di come anche noi, prima di capire, eravamo sordi e ciechi e la nostra percezione del mondo e dei suoi problemi, delle sue incongruenze e distorsioni, delle sue ingiustizie e follie, era anch’essa occlusa e deformata da tutta una serie di abitudini alle quali ci eravamo assuefatti.
Ci saremo finalmente resi conto che il mondo si regge sulla bugia.
Era questo il suo teorema.
Il mondo è retto da una menzogna.
Quale menzogna? Ad ognuno la sua interpretazione, ad ognuno la capacità di scoprire nelle proprie abitudini, quella crepa senz’altro esistente che rende possibile la comprensione dell’inganno.
Lui l’aveva trovata quella crepa.
Ed era sempre stata nella sua certezza più grande.
Sarà così per tutti?
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